«Se ho commesso degli errori, l’ho fatto per amore. Ho amato troppo, più di tutti». Se questa frase ci suona familiare è perché potrebbe facilmente appartenere a un innamorato disperato, magari a un personaggio di un film romantico o di un romanzo gotico, forse anche a una canzone di Sanremo. Invece l’ho sentita qualche giorno fa mentre guardavo M Il figlio del secolo, la serie tv tratta dal romanzo di Antonio Scurati sull’ascesa del fascismo. A pronunciarla è Luca Marinelli, incredibilmente inquietante nei panni di Benito Mussolini. La parola amore è ricorrente, la troviamo anche nel trailer: «Il fascismo: una creatura bellissima, fatta di sogni, di ideali, di cambiamento, che conquisterà milioni e milioni di cuori, son sicuro anche i vostri», dice Marinelli-Mussolini guardandoci negli occhi attraverso la macchina da presa, «Seguitemi, anche voi mi amerete. Anche voi diventerete fascisti!». Tutta la serie mostra il tentativo, a tratti quasi disperato, di Mussolini di essere amato, di far innamorare gli italiani, e noi assistiamo impotenti all’innamoramento, irrazionale e inevitabile, proprio come l'amore ci è sempre stato dipinto.

Non è una novità che l’estrema destra utilizzi il linguaggio dell'amore nella propria retorica. Alla cerimonia d’insediamento di Donald Trump, Elon Musk ha fatto il saluto romano davanti agli occhi di tutto il mondo dopo aver detto la frase «Il mio cuore è con voi. È grazie a voi che il futuro della civiltà è assicurato». Quando è stato fatto notare che il braccio teso a quel modo ha un valore simbolico inequivocabile (specie se a farlo è uno che sostiene partiti neonazisti in giro per il mondo), Andrea Stroppa, collaboratore italiano di Musk, ha tentato di giustificare l’imprenditore di SpaceX dicendo che «Quel gesto, che alcuni hanno scambiato per un saluto nazista, è semplicemente Elon, che ha l'autismo, che esprime i suoi sentimenti dicendo, “Voglio darti il mio cuore”». In buona sostanza: era un gesto d’amore.
Oggi ci è chiaro che gli ultraconservatori sfruttano spesso sentimenti come l’odio e la paura: per chi è diverso, per chi arriva nel Paese per rubare il lavoro ai cittadini, per chi mette in pericolo l’istituzione della famiglia, eccetera. Rischia invece di sfuggire come, nel farlo, è all’amore che si appellano, e questo vale a maggior ragione in una società in cui i sentimenti negativi vengono allontanati di default, come mossa di marketing. Matteo Salvini, durante la scorsa campagna elettorale, ha pubblicato dei manifesti in cui venivano contrapposte due immagini: da un lato («Più Italia») erano raffigurate alcune cose che gli italiani amano (la pasta al pomodoro, un panino al prosciutto, la «dolcezza senza tempo di una mamma col suo bambino», due belle ragazze senza maglietta, cose semplici e quotidiane che ci rendono felici), dall’altro («Meno Europa») si vede quello che, secondo il ministro, succederebbe se si lasciasse spazio all’Unione Europea, alle politiche di diversity & inclusion e al cosiddetto «politicamente corretto» (mangiare insetti, un panino “vegano” con i vermi, un uomo trans che porta avanti una gravidanza, delle donne col burqa). Il messaggio è chiaro: bisogna fermare l'arrivo degli stranieri, lottare contro la fantomatica “ideologia gender” ed evitare gli eccessi dell’ambientalismo. Bisogna farlo per tutelare ciò che ci piace e che amiamo.
Non è odio, è proteggere ciò che ci sta a cuore. Non è odio, è amore. «Ma dove lo vedete quest’odio?» recita un post di Fratelli D’Italia mostrando immagini gioiose di Giorgia Meloni ad Atreju, ed è la stessa premier che, quando parla del suo modo di governare, sembra descrivere un patto d'amore.
«Noi siamo pronti a costruire un futuro diverso per questa Nazione, con tutti i problemi che ci saranno», ha detto Meloni nel settembre 2022 durante un comizio a Milano, «Ci saranno giorni di sole e ci saranno giorni di pioggia (da leggere con gli 883 in sottofondo, nda), ci saranno giorni in cui sarete eventualmente contenti di noi e giorni in cui sarete meno contenti di noi. Però una cosa ve la posso garantire: questa Nazione ha bisogno di essere governata soprattutto con amore, con lo stesso sentimento con cui si cresce un figlio. Perché siamo tutti pronti poi a fare i genitori anche se nessuno ce l’ha mai insegnato? Perché la base nel rapporto tra un genitore e un figlio è che il baricentro non sono più io. È amore incondizionato, no? Non mi interessa come sarò ricordato, non mi interessa se saranno cantate le mie gesta, non mi interessa manco se rivincerò le elezioni. Mi interessa che tu possa capire quello che sto facendo, perché lo sto facendo soltanto per te».

Secondo la studiosa femminista Sara Ahmed «Il fascismo può essere facilmente articolato come una politica dell'amore: un amore per un "noi" che è fragile e ha bisogno di protezione, un amore che dichiara “noi per primi” come un'emergenza».
«In che modo», si chiede Ahmed, «la politica è diventata una lotta su chi abbia o meno il diritto di definirsi come chi agisce per amore e in nome dell'amore? Cosa significa sostenere l'amore stando al fianco di alcuni e contro altri? È diventato comune per i gruppi d’odio rinominarsi come organizzazioni a sostegno dell'amore». [...] «L'odio viene rinominato amore, una ri-definizione che "nasconde" l'ambivalenza che esercita (amiamo anziché odiare). La conversione dell'odio in amore consente ai gruppi di associarsi a un "buon sentimento" e a un "valore positivo"».
Per la studiosa, quindi, questa logica porta a un’inversione: chi prende parola “contro”, per denunciare che qualcosa non va, diventa l’odiatore, il violento, diventa colui che sta odiando e attaccando. Gli altri non odiano, gli altri sono “pro”: pro-nazione, pro-vita, pro-amore. «Dal momento che si mettono contro coloro che sono “per la nazione”, questi critici (anti-razzisti, anti-fascisti ecc.) non possono che essere contro la nazione stessa; non possono che essere contro l'amore», scrive Ahmed. «Orgoglio e amore per l’Italia», si legge infatti in un post di FDL, «La vostra rabbia e il vostro rancore ci ricordano sempre da che parte stare: in quella diametralmente opposta alla vostra».
Che cosa ci viene chiesto di fare per amore? E cosa siamo disposti a fare e ad accettare? La parola amore genera in noi una resa immediata. Diffonde un’atmosfera rassicurante e ci rende vulnerabili: se è amore non può fare male, no? Così ci hanno detto. Se è «fatto per amore» non può essere sbagliato. Eppure alle donne e a chi ha poco potere per difendersi, per amore è stato fatto e chiesto di fare molto. L’amore come giustificazione a violenze, rinunce, umiliazioni, ore di lavoro di cura, è tra i peggiori inganni messi in atto dalla società patriarcale e, d’altra parte, non credo che ci sia un altro movimento, un altro sistema di pensiero, che si sia occupato di smantellare gli inganni dell’amore come e quanto il femminismo.
Rimanendo in ambito politico, l’esempio forse più immediato è la retorica dei movimenti antiabortisti, da sempre imbevuta di amore e tenerezza. Essere contro l’aborto, secondo chi si fa chiamare “pro-life”, significa amare la vita, avere un amore così grande da abbracciare tutti i potenziali figli non voluti e persino amare le donne, che non sanno davvero quello che stanno facendo e che sarebbero sicuramente più felici diventando mamme come richiesto dalla loro “natura femminile”. Il movimento femminista si occupa instancabilmente, giorno dopo giorno, di sottolineare come questo amore propagandato dagli antiabortisti sia astratto, vuoto e distorto. È un "amore" che non considera le persone coinvolte: né le condizioni fisiche, psichiche ed economiche di chi vuole interrompere una gravidanza, né come i figli si troveranno a crescere, né tantomeno l'enorme violenza insita nel trovarsi a dover stravolgere il proprio corpo e la propria vita senza volerlo. I governi che sostengono i movimenti antiabortisti non si prendono a cuore questioni come il congedo paternità obbligatorio e paritario, l’accesso agli asili nido o le politiche per l’infanzia. L’amore per la vita degli antiabortisti non è costruttivo, è circoscritto al momento in cui giustifica una privazione della libertà.
Ma il femminismo ci ha messo in guardia dagli inganni dell’amore anche in ambito personale, nelle case - il luogo dove, secondo i dati, le donne sono più in pericolo - nel matrimonio, che per secoli ha reso la donna una proprietà, e nelle relazioni. Il femminismo si interroga da tempo sulla narrazione che la società (almeno quella Occidentale) ha costruito attorno all’amore e all’amore romantico.
Se penso al passato mi rendo conto che, a un certo punto, da ragazzine, cominciamo ad aspettare l’amore come se senza risultassimo incomplete, come un rito di iniziazione, come l’unica magia in grado di farci uscire dalla noia della vita adulta.
«Tutto», scriveva Simone De Beauvoir (e lo scriveva nel 1949) «tutto invita la ragazza ad abbandonarsi in sogno tra le braccia degli uomini per venire sollevata in un cielo di gloria. Impara che per essere felice bisogna essere amata; e, per essere amata, bisogna aspettare l'amore. La donna è la Bella addormentata nel bosco, Pelle d'asino, Cenerentola, Biancaneve, colei che riceve e subisce. Nelle canzoni, nelle novelle si vede l'uomo partire “alla ventura” per trovare la donna; taglia a pezzi i draghi, combatte i giganti; la fanciulla è imprigionata in una torre, in un palazzo, in un giardino, in una caverna, incatenata a una rupe, in ceppi, addormentata: aspetta. I ritornelli popolari le suggeriscono dei sogni di pazienza e di speranza. La massima necessità per la donna consiste nell'incantare un cuore maschile; anche le più intrepide, le più rischiose delle eroine aspirano a questa ricompensa».
Così le mie fantasticherie su avventure, esplorazioni e ambizioni strampalate a un certo punto si sono trasformate in fantasie romantiche e desiderio di essere desiderata. Un’estate ho iniziato a leggere solo libri in cui le protagoniste si innamoravano, diventavano l’ideale romantico di qualcuno e imparavano a darsi e negarsi sapientemente per assicurarsi che l’uomo in questione desse prova di “vero” e incrollabile amore. In gioco c’era spesso una negoziazione tra la propria soggettività e il cedere all’altro. Il massimo traguardo sembrava la fusione intima e perfetta da due in uno. Da adolescenti abbiamo vissuto - dentro e fuori gli schermi dei telefilm e le pagine dei libri - amori così luccicanti da abbagliarci, marchiandoci e diventando il metro per ricercare la stessa intensità. Abbiamo plasmato le nostre cotte adolescenziali su storie di amori assoluti e travagliati dove l’amore era la chiave di tutto (anche della violenza e del possesso talvolta) eppure non era mai chiaro, davvero, cosa fosse.
Secondo bell hooks «La parola “amore” è all’origine della difficoltà di amare».
«Se nella nostra società tutti intendessero allo stesso modo l’amore, l’atto di amare non sarebbe così problematico», scrive, «La stragrande maggioranza dei libri che parlano dell'argomento evitano accuratamente di dare definizioni chiare. Nell’introduzione al suo “Amare. La genesi di un sentimento”, Diane Ackerman dichiara: "L’amore è il grande indefinibile”. E, alcune righe dopo: "Tutti ammettono che l’amore è meraviglioso e necessario, eppure non riusciamo a metterci d’accordo su che cosa sia”. E aggiunge timidamente: "Usiamo la parola amore in modo talmente sdolcinato, che essa finisce per significare assolutamente tutto, o quasi nulla».
Ed è qui la fessura che lascia il posto all’inganno. Cime Tempestose è un romanzo d'amore dannato e immortale? Lolita è «La più grande storia d’amore del nostro tempo» come è stato a lungo definito? O è un libro dove l’autore parla della violenza su una bambina di 12 anni? Ci hanno detto tante volte «Se è geloso vuol dire che ti ama» e poi «L’ha uccisa perché l’amava troppo».
«Quante volte incontriamo uomini che picchiano i figli e la moglie e poi, al bar, proclamano a gran voce di amarli», scrive bell hooks, «Può capitare che anche la moglie, se le si parla in una giornata buona, sostenga che il marito, pur essendo un violento, la ama. (...). Troppi di noi hanno bisogno di aggrapparsi a un'idea d'amore capace di rendere accettabili gli abusi, o che almeno sia in grado di far apparire ciò che abbiamo subito un po' meno terribile».

Deve esserci un modo per sfuggire all’inganno e costruire un terreno comune per amarsi fuori dalle dinamiche di potere, possesso e idealizzazione. Ultimamente se ne parla molto, vengono pubblicati libri (come Le postromantiche di Carolina Bandinelli, L'Amore è cambiato di Annalisa D'Ambrosio o Io d’amore non so scrivere di Giulia Muscatelli in uscita) che contemplano lo scenario postapocalittico della fine dell’amore romantico e si interrogano sulle macerie di quello che credevamo fosse amore e invece era qualcos’altro. Non sappiamo ancora cosa, forse stiamo tutte cercando di capirlo, ognuna nelle rispettive sessioni di terapia. Forse era dipendenza dai picchi di dopamina come dice la scienza o semplice insicurezza. Forse eravamo noi che amavamo per sentirci validate, per curare ferite altrui, per sentirci speciali e indispensabili, oppure per noia, per illuderci di fermare il tempo e trovare qualcosa di immortale. O magari perché riporre tutta la felicità in qualcun altro sembrava più semplice che costruircela da sole.
In questi giorni ho letto Amore e Violenza di Lea Melandri, una delle più importanti esponenti viventi del femminismo storico italiano. «È proprio la mescolanza di amore e odio, conservazione e distruzione, vita e morte, ad aver reso così difficile il riconoscimento di queste pulsioni», scrive, «E questo vale sia per la vita intima, per la relazione tra i sessi, sia per la vita sociale: gruppi, nazioni eccetera». Secondo l’autrice è nel «sogno d’amore», «nell’illusione di perderti dentro l’altro» che si «confondono le acque» e dunque i femminicidi non sono commessi «per amore» ma, secondo Melandri, l’amore c’entra, perché la violenza è insita nella forma che ha preso l'amore, e bisognerebbe andare a fondo mettendolo in discussione. La confusione tra amore e violenza, potere e amore esiste, ed esiste a livello personale e a livello politico. «Ci sono», scrive Melandri, «parentele insospettabili che molti non riconoscono o che preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è quella che lega l’amore all’odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte. Si distrugge per conservare, si uccide per troppo amore, si idealizza l’appartenenza a un gruppo, una nazione, una cultura, per differenziarsi da chi ne è fuori e che è visto come nemico».
3 emozioni del mese
Immaginazione: questa intervista che ho fatto a Silvia Grasso parla dell’importanza dell’immaginazione (ma anche di Barbie, dei giochi della nostra infanzia e di come chiudere gli occhi e trovare la nostra voce nel caos).
Ispirazione: non so se l'ispirazione sia un’emozione, ma mi sono sentita molto ispirata da questo corso di BBC Maestro tenuto dalla designer Beata Heuman (che mi fa sognare case meravigliose e coloratissime). L’iscrizione per un anno alla piattaforma non costa tanto se si considera che ci sono moltissimi corsi a disposizione (ora ne sto seguendo uno sulla scrittura tenuto da Isabel Allende).
Amore (di nuovo, visto che c’è stato San Valentino): ma questa volta dal punto di vista medico in questa newsletter di Sofia Corradin sulla sindrome del cuore infranto “Si può morire d'amore, sì”.
Brava